L’articolo pubblicato sul numero 23 di Umanità Nova e dedicato al risultato del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea centra la questione, legando crisi istituzionale e vittoria del “leave”, cioè dell’abbandono dell’Unione Europea.
Credo però che il risultato elettorale non sia la causa, ma il segnale di una crisi sismica dell’assetto costituzionale, non solo del Regno Unito, ma di tutta l’Unione Europea. L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea segnala che, in un grande paese membro, l’idea di un grande stato sovranazionale non ha più presa a livello di massa. Il ceto dirigente dell’Unione Europea si è rivelato inadeguato al proprio compito, incapace di fare quelle concessioni che avrebbero potuto assicurare la vittoria al “remain”. Se questi governanti hanno avuto paura che le concessioni fatte al Regno Unito contagiassero altri paesi membri, oggi si trovano con una cintura di paesi, i paesi scandinavi, le Repubbliche baltiche, la Polonia, il Portogallo, in cui l’influenza britannica è tutt’altro che secondaria, più sensibili che mai al richiamo di una uscita dall’Unione.
Una crisi di gravità analoga si manifesta al di là della Manica, e tocca il ruolo della monarchia. Dopo tante chiacchiere sulla volontà popolare che si sarebbe espressa, sul carattere democratico delle istituzioni britanniche ecc., il prolungarsi dell’attesa per un passo ufficiale del governo di Londra nei confronti dell’Unione Europea segnala la volontà dell’estabilishment inglese di aggirare il voto del referendum.
Un Regno Unito affidato a sé stesso, senza il puntello (e l’alibi) dell’Unione Europea, vedrebbe esplodere le secolari tensioni rivelate dal voto. Uno dei pilastri istituzionali è costituito dalla preminenza dell’Inghilterra nell’Unione, a scapito di Scozia, Irlanda del Nord e Galles; non a caso il voto si è mosso in direzione diversa nelle prime due regioni rispetto all’Inghilterra e al Galles. E’ significativo che il 79% dei votanti “leave” si definiscano inglesi piuttosto che britannici, mentre il 60% dei votanti “remain” si definiscano britannici piuttosto che inglesi. Un’altra contrapposizione storica è quella tra città e campagna, e anche qui il voto si è mosso in maniera diversa.
Il livellamento e la caduta del saggio di profitto rendono necessaria la riduzione del prezzo della forza-lavoro al di sotto del suo valore; in altre parole questo significa una compressione dei consumi della classe operaia, e ciò viene spesso espresso con la frase “vivere la di sopra dei propri mezzi”, cioè al di sopra dei mezzi di valorizzazione del capitale. Questa compressione non può avvenire senza una violenta repressione dei bisogni vitali, violenta anche se attuata con la collaborazione delle burocrazie sindacali e politiche che pretendono di rappresentare i bisogni degli sfruttati. La democrazia è incapace di rappresentare il quadro istituzionale in cui si può esplicare questa violenza delle classi dominanti contro le classi sfruttate. Per questo al qua e al di là della Manica le tendenze autoritarie, il controllo sociale, la repressione crescono sempre di più. Ma chi consumerà le merci prodotte da una classe operaia immiserita? Lo Stato sociale di una Britannia tornata nuovamente grande, i landlords, i militari, gli ecclesiastici, i collettori di decime, di cedole del debito pubblico, gli agenti di cambio, gli sbirri, i lacchè, la burocrazia centrale e periferica dello stato, la casa regnante. Sono i residui delle vecchie classi estranee alla produzione capitalistica, ma interessate alla spartizione del profitto generato dallo sfruttamento del proletariato.
Al di là delle pur importanti divisioni fra regioni e fra città e campagna c’è la contraddizione generata dalla divisione della società in classi contrapposte: nelle classi subalterne, nelle cosiddette C2DE, la sigla che nel Regno Unito indica le tre classi al livello sociale ed economico più basso, il voto per l’abbandono dell’Unione Europea è stato il doppio di quello per il mantenimento dell’adesione. Questo risultato non può fare a meno di preoccupare, perché testimonia quanto le vecchie ideologie nazionaliste e razziste del colonialismo inglese abbiano fatto breccia nella classe operaia britannica; oggi si ripresentano con il volto di Farage e con lo slogan “Fai grande la Britannia ancora una volta”. Il nucleo centrale del voto per l’uscita dall’UE si trova nelle degradate comunità operaie dell’Inghilterra e del Galles, nei distretti industriali oggi desolati.
Ma questo voto potrebbe creare le premesse per una sana disillusione nei confronti delle istituzioni naionali e sovranazionali e per una ripresa della coscienza rivoluzionaria: oggi le classi dominanti del Regno Unito sono riuscite ad illudere gli sfruttati che l’uscita dall’Unione Europea avrebbe rappresentato un cambiamento della loro condizione; quando la disoccupazione, l’aumento dei prezzi, la miseria busseranno ancora alla loro porta, le menzogne di conservatori e laburisti si riveleranno come tali. Sulle ceneri della solidarietà nazionale risorgerà la lotta di classe internazionalista, se il movimento anarchico e le sue organizzazioni sapranno bene operare in questo senso.
Tiziano Antonelli